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Nell’ambito del rapporto medico-paziente, ci si pone spesso un interrogativo che è sovente rivolto sia a me che a Bola, spero di chiarire il tema con questo mio articolo e rimango a disposizione per eventuali domande anche su casi pratici.
Laddove intervenga il recesso contrattuale da parte del paziente, senza che lo stesso si sia effettivamente mai sottoposto a interventi o comunque abbia in altro modo usufruito concretamente dell’opera del medico, quest’ultimo è tenuto alla restituzione della caparra o, in generale, delle somme anticipate dal paziente? Ebbene, da un punto di vista prettamente giuridico, il riferimento normativo di tale questione può rinvenirsi nell’art. 2237 c.c. La norma, infatti, prevede la disciplina del recesso con riguardo ai contratti di prestazione di professioni intellettuali, ossia quelle per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, tra cui è possibile chiaramente rinvenire anche la professione medico-sanitaria. L’articolo suddetto necessita di essere preso in considerazione in combinato disposto con l’art. 2234 c.c. che, sempre con riferimento alle professioni intellettuali, disciplina le spese e gli acconti. In particolare, la normativa prevede, in capo al cliente (in questo caso, il paziente), salvo diversa pattuizione con il medico, l’obbligo di anticipare al prestatore d’opera le spese occorrenti al compimento dell’opera stessa, nonché quello di corrispondere gli acconti sul compenso stabilito. Da ciò discende che, prima ancora di ricevere materialmente la prestazione, il paziente è tenuto ad investire denaro nella stessa, sia a titolo di anticipazione sul compenso, sia per consentire al medico di sostenere le spese necessarie al compimento dell’opera stessa. È, tuttavia, possibile che il paziente decida di recedere dal contratto e tale opportunità è espressamente prevista proprio dall’art. 2237 c.c. La norma, però, precisa anche che, qualora il paziente opti per il recesso dal contratto, è comunque tenuto a rimborsare al prestatore d’opera le spese da quest’ultimo sostenute ed a pagare il compenso per l’opera che sia stata svolta. Al contrario, il prestatore d’opera può recedere dal contratto soltanto per giusta causa e, laddove quest’ultima sussista, ha diritto al rimborso delle spese sostenute e al compenso dell’opera svolta da parte del cliente, sempre che il recesso venga esercitato dal prestatore d’opera evitando che da esso derivi pregiudizio al cliente. Peraltro, il compenso deve comunque determinarsi sulla base dell’utile che sia effettivamente derivato al cliente dalla prestazione adempiuta. Quanto appena esposto rende evidente una maggiore libertà di recesso del paziente rispetto a quella riconosciuta al medico, che dovrà sempre dimostrare l’esistenza di una giusta causa ed evitare un pregiudizio ai danni del paziente. Con specifico riferimento al recesso del paziente, invece, il codice civile prevede esclusivamente l’obbligo di rimborsare al medico le spese sostenute e compensarlo dell’opera svolta. Appare, pertanto, opportuno e interessante chiedersi se tale obbligo stabilito in capo al cliente, permanga anche nell’ipotesi in cui non sia stata svolta dal medico alcuna opera. Da un punto di vista letterale, la norma sembrerebbe escludere l’obbligo in ipotesi di mancata prestazione d’opera al momento del recesso, dal momento che prevede espressamente che, ai fini della sussistenza dell’obbligo, deve essere stata compiuta un’opera. Tale questione è stata oggetto anche di approfondimento giurisprudenziale e, sul punto, si è definitivamente espressa la VI Sezione Civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 19265/2012. Con tale pronuncia, infatti, la Suprema Corte condannava tre chirurghi alla restituzione della somma anticipata dal paziente per un intervento mai effettuato per via del recesso del paziente. Attraverso tale statuizione di condanna, la Cassazione ha, in buona sostanza, stabilito che il sanitario che non ha effettuato l’intervento chirurgico concordato con il paziente, sebbene ciò sia accaduto per volontà del paziente stesso, è tenuto alla restituzione del compenso da lui previamente percepito. Infatti, come spiegato dalla Corte stessa, la norma presuppone che il compenso sia comunque dovuto, solo a fronte di una prestazione d’opera effettuata, che sia stata compiuta in toto o solo in parte. Al contrario, nel caso in cui la prestazione d’opera non sia stata effettuata nemmeno in parte, nessun compenso è dovuto al professionista sanitario. Dunque, se non v’è opera svolta da retribuire, le somme percepite a titolo di anticipazione del compenso sono ritenute indebite. La Cassazione ha anche precisato che, nel caso di specie, la paziente aveva firmato l’accettazione del pagamento degli onorari dovuti, la determinazione dei quali però deve essere comunque valutata in forza del recesso ex art. 2237 c.c. E, a tal fine, grava sui sanitari l’onere della prova in punto di dimostrazione dell’opera che sia stata concretamente svolta e, quindi, del compenso effettivamente dovuto. A meno che non sia intervenuto un accordo transattivo tra il medico e il paziente, che deve essere prodotto in giudizio dal professionista sanitario. Dunque, alla luce di quanto sopra esposto, per dare risposta alla domanda iniziale, laddove il recesso del paziente intervenga prima ancora che l’opera sia stata compiuta, il medico è tenuto alla restituzione delle somme dallo stesso anticipate. Certamente, una soluzione a tali problematiche potrebbe essere quella di stipulare contratti d’opera che siano più dettagliati e raggiungere accordi transattivi al modificarsi delle condizioni contrattuali.
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