Belli Capelli Forum

Posts written by Avv. Leonardo D'Erasmo

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    La responsabilità medica può definirsi come la responsabilità professionale di colui che esercita un’attività sanitaria e deriva dagli eventuali danni derivanti al paziente da errori e/o omissioni del medico ovvero da condotte poste in essere in violazione degli obblighi inerenti all’attività stessa.
    Nel nostro ordinamento, come noto, sull’attività medico-chirurgica grava, in via generale, non un obbligo di risultato, bensì una mera obbligazione di mezzi.
    Da ciò discende, in buona sostanza, che il sanitario non è tenuto a garantire al paziente la sua definitiva guarigione, ma solo ad eseguire la sua prestazione con la diligenza dovuta, senza essere obbligato a conseguire un risultato specifico.
    Da tale prospettiva si distacca la chirurgia estetica, che rappresenta, non solo un ambito della medicina sempre più presente nelle nostre vite, ma altresì un particolare settore della medicina stessa, caratterizzandosi per non avere uno scopo primariamente “curativo”, essendo piuttosto finalizzata alla eliminazione – o quantomeno al miglioramento – di imperfezioni o inestetismi di un individuo che, tuttavia, è clinicamente sano.
    Da ciò deriva che una persona che intenda sottoporsi a prestazioni sanitarie di natura “estetica” lo fa sostanzialmente in vista del conseguimento di un determinato risultato.
    Di conseguenza, in tal caso, il paziente non si rivolge al sanitario solo per ottenere dallo stesso la rassicurazione o la garanzia che, nel corso della prestazione, lo stesso farà tutto il possibile per raggiungere il risultato medesimo.
    Pertanto, l’obbligazione che grava sul chirurgo estetico non è semplicemente quella di fornire al paziente delle cure, essendo piuttosto volta al miglioramento di imperfezioni o inestetismi.
    Di tanto, si è resa conto anche la giurisprudenza italiana, tanto che il Tribunale di Verona, con la recente sentenza n. 1620 del 16.08.2021, ha precisato come, nell’ambito della chirurgia estetica, il chirurgo professionista effettua un “intervento elettivo ad elevata vincolatività di risultato, nella previsione di un guadagno estetico”.
    E, ancora, il Tribunale di Piacenza, con una ancor più recente sentenza n. 29 del 27.01.2022, ha affermato come sia indubbio che chi si rivolge ad un chirurgo plastico lo fa per finalità spesso esclusivamente estetiche e, dunque, ai fini della rimozione di quello che il paziente stesso considera un difetto, dunque non per curare una malattia, da ciò discendendo che “il risultato rappresentato dal miglioramento estetico dell’aspetto del paziente non è solo un motivo, ma entra a far parte del nucleo causale del contratto e ne determina la natura”.
    Ciò detto, risulta chiara la natura peculiare della specializzazione medica estetica, che ha portato una parte consistente della giurisprudenza italiana – sebbene non univoca – a considerarla quale fonte di un obbligo di risultato e non di mezzi, come nel caso della medicina in generale.
    Prendendo in considerazione la medicina estetica quale obbligazione di risultato, dunque, il medico chirurgo specializzato sarebbe tenuto a conseguire la finalità specifica che la persona che si sottopone al trattamento si è prefissata.
    Ne consegue che, qualora, all’esito dell’intervento e delle cure, il paziente non abbia raggiunto lo specifico risultato estetico che lo stesso si prefiggeva, il personale sanitario coinvolto potrebbe essere chiamato a rispondere dei danni al medesimo cagionati.
    Come è evidente, il diffondersi della chirurgia estetica all’interno della società ha avuto un impatto anche in ambito giuridico, proprio perché ha posto un pressante interrogativo sul ruolo del chirurgo estetico, nonché sui doveri informativi incombenti in capo al medesimo nei confronti del paziente ed anche sulla sua responsabilità in caso di insuccesso operatorio.
    È importante precisare che, in capo al chirurgo estetico, deve riconoscersi un onere informativo più elevato nei confronti del paziente, il quale dovrà rilasciare un consenso pieno, attuale, libero, volontario ed autonomo.
    E ciò, proprio perché la chirurgia plastica ha una finalità ulteriore e diversa rispetto a quella della medicina in generale, ossia una finalità prettamente estetica.
    È allora opportuno richiamare una sentenza della giurisprudenza di legittimità, ossia la sentenza n. 47265/2012, in cui la Suprema Corte si è impegnata nel delimitare i confini della responsabilità penale del professionista sanitario, effettuando una precisa distinzione tra “malattia”, che consiste in una “perturbazione funzionale di tipo dinamico che, quindi, dopo un certo tempo, conduca alla guarigione, alla stabilizzazione in una nuova situazione di benessere fisico degradato o alla morte” e “inestetismi”, da ricondurre ad una “situazione consolidata di “abnormalità morfologica” o di aggravamento di una situazione di tal genere preesistente, che non adduce alcun pregiudizio funzionale e, soprattutto, non innesca un processo morboso evolutivo”.
    È chiaro che non sempre è facile differenziare il fine terapeutico da quello estetico e che un obbligo di consenso maggiormente informato da parte del professionista è essenziale per assicurare un’operazione pienamente volontaria.
    Tuttavia, ad avviso della dottrina, un onere, anche di carattere probatorio, così elevato in capo al solo chirurgo plastico risulta eccessivo e, spesso, non efficace sul piano del rilascio di un consenso davvero volontario.
    Pertanto, pur essendo la giurisprudenza più recente a favore di un’obbligazione di risultato, è indubbio come il maggior onere informativo incombente sul professionista richieda, al contempo, l’adozione di un livello di rischio più elevato in capo al paziente, il quale dovrà dimostrarsi ben conscio dei maggiori rischi di insuccesso derivanti sia da cause direttamente dipendenti dal medico, sia da cause di natura esterna, proprio per il carattere della chirurgia estetica, non strettamente urgente, necessaria o salvavita, come nel caso della chirurgia “tradizionale”.
    Ad ogni modo, sotto un profilo più pratico, il paziente che abbia subito un danno estetico, anche detto danno “fisiognomico”, che consiste nella lesione dell’aspetto fisico, ossia in un peggioramento dell’immagine, che certamente può anche comportare un disagio psichico e relazionale, ha la possibilità di rivolgersi ad un avvocato ai fini della richiesta di risarcimento del danno subito, nonché del rimborso di tutte le spese sostenute per l’operazione e quelle da sostenere per le ulteriori operazioni cui sottoporsi per cercare di migliorare il difetto arrecatogli.
    Il risarcimento conseguente dal danno estetico deve essere, peraltro, valutato nel suo complesso, potendo sovrapporsi danno prettamente estetico e danno psicologico, come ha precisato la Corte di Cassazione, sez. VI, con la sentenza n. 8220 del 24.03.2021.
    Quindi, il giudice è chiamato a considerare tutti i diversi profili del danno non patrimoniale derivante da un intervento chirurgico errato, valutandoli complessivamente, in considerazione di tutte le ripercussioni, sia sul piano estetico, sia su psichico e relazionale.
    Il danno alla salute, peraltro, può essere aumentato laddove il medico non avesse nemmeno correttamente informato il paziente dei possibili rischi dell’intervento, quindi non vi sia stato un consenso informato da parte del paziente.
    Come vediamo, dunque, allo stato attuale la medicina estetica è l’unico settore medico in cui l’obbligo assunto dal medico può configurarsi quale obbligazione di risultato, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano di una maggiore garanzia nei confronti del paziente.
    A ciò si aggiunga che può essere sottoscritto un vero e proprio contratto di prestazione d'opera tra medico e paziente e, a volta, alcune cliniche rilasciano anche una garanzia scritta.

    Sull'ultimo punto, Bellicapelli, nella sua funzione di collegamento tra medici e pazienti potrebbe, di concerto con le cliniche, rilasciare una garanzia sull'intervento, una sorta di sigillo ovviamente sottoscritto dal medico, a tutela dei propri iscritti. Cosa ne pensate a riguardo?
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    CITAZIONE (Cavalet @ 17/9/2023, 09:48) 
    Non sono esperto in materia ma credo che ci sia una netta differenza tra anticipo e caparra.
    Importante è anche quanto scritto e firmato dalle parti nella proposta / contratto.

    Se si è in presenza di un accordo scritto e di caparra confirmatoria questa agisce come corrispettivo del recesso.

    Altrimenti è come anche ben specificato da Vivanco.
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    CITAZIONE (BOLA @ 16/9/2023, 00:43) 
    Quindi se non ho capito male secondo la legge italiana la caparra dovrebbe essere sempre rimborsabile se il medico/operatore non ha fornito la prestazione d'opera?

    Non si tiene conto ad esempio del danno economico che potrebbe soffrire l'operatore/medico in caso di cancellazione con tempi di preavviso minimo (p.es un giorno prima)?

    Esatto Bola, il medico non esegue la prestazione la caparra deve essere restituita al paziente, salvo che vi sia un diverso accordo (scritto) tra le parti.

    Se vi è un danno per il medico e questo danno è provato, documentato, in questo caso la caparra o parte di essere potrebbe non essere restituita.

    CITAZIONE (capellochenonvedo @ 17/9/2023, 07:12) 
    Purtroppo le leggi in Italia sono spesso stilate da chi non conosce la materia.
    Questa è una costante che accompagna il cittadino e il professionista italiano da tempo.
    In effetti è già ridicolo il fatto che una persona che cerca lavoro debba oggi dimostrare sempre più skill e al contrario un Ministro non debba necessariamente possedere alcun titolo nella stessa disciplina ministeriale che dovrebbe conoscere a menadito e gestire nel migliore dei modi.

    Credo possa vigere il buon senso che potrebbe portare ad un rinvio della chirurgia per motivi di salute o altrettanto seri.
    Ma credo sia allucinante che un paziente possa magari disdire la chirurgia qualche ora prima e aver diritto all'intera caparra.
    Credo che per correttezza in questo caso il recesso debba avvenire entro tot tempo dalla chirurgia.

    Non si tiene conto di:

    ●un eventuale affitto della sala operatoria
    ●il mancato introito che avrebbe potuto non mancare qualora il chirurgo fosse stato avvisato con congruo anticipo e aver avuto la possibilità di organizzare un'altra chirurgia nella stessa data.
    ● Alcube cliniche possono avvalersi di personale medico freelance quale anestesista, ecc ecc...quindi potrebbero già aver sostenuto costi per compenso, vitto, alloggio per questi già dalla sera precedente la data della chirurgia.


    Un contratto d'opera con un accordo transattivo a questo punto sembra l'unica salvezza per un professionista.

    Se si prova il danno patrimoniale è diverso Capello.

    In ogni caso, alle cliniche per tutelarsi sotto questo profilo basta far sottoscrivere un contratto al paziente.
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    CITAZIONE (salsazio @ 15/9/2023, 16:51) 
    Morale
    Ti deve tornare i soldi

    esatto
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    CITAZIONE (BOLA @ 14/9/2023, 00:01) 
    :D Questo è un quesito per il nostro Avv. Leonardo D'Erasmo che riattiverà presto la sua rubrica "L'Avvocato risponde"

    Ho scritto un articolo dedicato qui: https://bellicapelli.forumfree.it/?t=79888037
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    Nell’ambito del rapporto medico-paziente, ci si pone spesso un interrogativo che è sovente rivolto sia a me che a Bola, spero di chiarire il tema con questo mio articolo e rimango a disposizione per eventuali domande anche su casi pratici.

    Laddove intervenga il recesso contrattuale da parte del paziente, senza che lo stesso si sia effettivamente mai sottoposto a interventi o comunque abbia in altro modo usufruito concretamente dell’opera del medico, quest’ultimo è tenuto alla restituzione della caparra o, in generale, delle somme anticipate dal paziente?
    Ebbene, da un punto di vista prettamente giuridico, il riferimento normativo di tale questione può rinvenirsi nell’art. 2237 c.c.
    La norma, infatti, prevede la disciplina del recesso con riguardo ai contratti di prestazione di professioni intellettuali, ossia quelle per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, tra cui è possibile chiaramente rinvenire anche la professione medico-sanitaria.
    L’articolo suddetto necessita di essere preso in considerazione in combinato disposto con l’art. 2234 c.c. che, sempre con riferimento alle professioni intellettuali, disciplina le spese e gli acconti.
    In particolare, la normativa prevede, in capo al cliente (in questo caso, il paziente), salvo diversa pattuizione con il medico, l’obbligo di anticipare al prestatore d’opera le spese occorrenti al compimento dell’opera stessa, nonché quello di corrispondere gli acconti sul compenso stabilito.
    Da ciò discende che, prima ancora di ricevere materialmente la prestazione, il paziente è tenuto ad investire denaro nella stessa, sia a titolo di anticipazione sul compenso, sia per consentire al medico di sostenere le spese necessarie al compimento dell’opera stessa.
    È, tuttavia, possibile che il paziente decida di recedere dal contratto e tale opportunità è espressamente prevista proprio dall’art. 2237 c.c.
    La norma, però, precisa anche che, qualora il paziente opti per il recesso dal contratto, è comunque tenuto a rimborsare al prestatore d’opera le spese da quest’ultimo sostenute ed a pagare il compenso per l’opera che sia stata svolta.
    Al contrario, il prestatore d’opera può recedere dal contratto soltanto per giusta causa e, laddove quest’ultima sussista, ha diritto al rimborso delle spese sostenute e al compenso dell’opera svolta da parte del cliente, sempre che il recesso venga esercitato dal prestatore d’opera evitando che da esso derivi pregiudizio al cliente.
    Peraltro, il compenso deve comunque determinarsi sulla base dell’utile che sia effettivamente derivato al cliente dalla prestazione adempiuta.
    Quanto appena esposto rende evidente una maggiore libertà di recesso del paziente rispetto a quella riconosciuta al medico, che dovrà sempre dimostrare l’esistenza di una giusta causa ed evitare un pregiudizio ai danni del paziente.
    Con specifico riferimento al recesso del paziente, invece, il codice civile prevede esclusivamente l’obbligo di rimborsare al medico le spese sostenute e compensarlo dell’opera svolta.
    Appare, pertanto, opportuno e interessante chiedersi se tale obbligo stabilito in capo al cliente, permanga anche nell’ipotesi in cui non sia stata svolta dal medico alcuna opera.
    Da un punto di vista letterale, la norma sembrerebbe escludere l’obbligo in ipotesi di mancata prestazione d’opera al momento del recesso, dal momento che prevede espressamente che, ai fini della sussistenza dell’obbligo, deve essere stata compiuta un’opera.
    Tale questione è stata oggetto anche di approfondimento giurisprudenziale e, sul punto, si è definitivamente espressa la VI Sezione Civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 19265/2012.
    Con tale pronuncia, infatti, la Suprema Corte condannava tre chirurghi alla restituzione della somma anticipata dal paziente per un intervento mai effettuato per via del recesso del paziente.
    Attraverso tale statuizione di condanna, la Cassazione ha, in buona sostanza, stabilito che il sanitario che non ha effettuato l’intervento chirurgico concordato con il paziente, sebbene ciò sia accaduto per volontà del paziente stesso, è tenuto alla restituzione del compenso da lui previamente percepito.
    Infatti, come spiegato dalla Corte stessa, la norma presuppone che il compenso sia comunque dovuto, solo a fronte di una prestazione d’opera effettuata, che sia stata compiuta in toto o solo in parte.
    Al contrario, nel caso in cui la prestazione d’opera non sia stata effettuata nemmeno in parte, nessun compenso è dovuto al professionista sanitario.
    Dunque, se non v’è opera svolta da retribuire, le somme percepite a titolo di anticipazione del compenso sono ritenute indebite.
    La Cassazione ha anche precisato che, nel caso di specie, la paziente aveva firmato l’accettazione del pagamento degli onorari dovuti, la determinazione dei quali però deve essere comunque valutata in forza del recesso ex art. 2237 c.c.
    E, a tal fine, grava sui sanitari l’onere della prova in punto di dimostrazione dell’opera che sia stata concretamente svolta e, quindi, del compenso effettivamente dovuto.
    A meno che non sia intervenuto un accordo transattivo tra il medico e il paziente, che deve essere prodotto in giudizio dal professionista sanitario.
    Dunque, alla luce di quanto sopra esposto, per dare risposta alla domanda iniziale, laddove il recesso del paziente intervenga prima ancora che l’opera sia stata compiuta, il medico è tenuto alla restituzione delle somme dallo stesso anticipate.
    Certamente, una soluzione a tali problematiche potrebbe essere quella di stipulare contratti d’opera che siano più dettagliati e raggiungere accordi transattivi al modificarsi delle condizioni contrattuali.
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    CITAZIONE (BOLA @ 19/8/2022, 23:40) 
    Shockloss in area donante, dovrebbe rientrare nei prossimi 3-4 mesi

    quoto
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    CITAZIONE (fascello79 @ 21/8/2022, 15:34) 
    CITAZIONE (Avv. Leonardo D'Erasmo @ 21/8/2022, 15:33) 
    i prelievi sono vicino alle orecchie e in basso fino al collo. In quello zone, in molti soggetti, le uf sono soggette al DHT, quindi sono aree considerate "no safe".

    Il rischio è che quei capelli cadano.

    Chi ti ha operato avrà certamente valutato con giudizio.

    In bocca al lupo

    Probabilmente ha valutato che la caduta dei capelli, nel mio caso, è molto lenta e quasi arrestata considerando i miei 43 anni

    Certamente, la mia risposta alla tua domanda è di carattere generale.
    Come ho specificato per il tuo caso, sicuramente saranno stati valutati una serie di fattori dal chirurgo.
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    un bel caso!
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    CITAZIONE (fascello79 @ 21/8/2022, 07:29) 
    CITAZIONE (BOLA @ 21/8/2022, 01:56) 
    Mi sembra personalmente che si sia andati a prelevare in zone un po pericolose come la peri auricolare e quella della nuca

    Che tipo di pericolo?

    i prelievi sono vicino alle orecchie e in basso fino al collo. In quello zone, in molti soggetti, le uf sono soggette al DHT, quindi sono aree considerate "no safe".

    Il rischio è che quei capelli cadano.

    Chi ti ha operato avrà certamente valutato con giudizio.

    In bocca al lupo
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    CITAZIONE (Francesco999999 @ 30/7/2022, 11:58) 
    Ciao ci ho pensato su,dovevo andare da koray quest'estate poi per problemi non sono più riuscito,ed ho deciso di optare per la strip perché preserva di più la donor,credo di prenotare da wong,ma vorrei fare anche un consulto dal vivo con hattingen

    I consulti con i dottori sono sempre un'ottima opportunità per valutare.

    Più che altro una strip come primo intervento ti permetterebbe di poter ricorrere ad una FUE qualora ne avessi bisogno in futuro.

    In bocca al lupo.
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    CITAZIONE (Francesco999999 @ 3/5/2022, 02:59) 
    Ciao grazie mille ma per il momento ho accantonato la fut

    posso chiederti come mai questo cambio di rotta?

    Comunque anche io, come Bola, penso che tu sia da strip.
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    Con l'emanazione della legge Gelli (legge n. 24/2017), i tratti della responsabilità medica sono stati differenziati a seconda che la responsabilità, per un determinato danno, possa essere attributa a coloro che operano presso una struttura sanitaria o alla struttura sanitaria stessa, sia essa privata che pubblica.

    In richiamo a tale normativa, i medici rispondono a titolo di responsabilità extracontrattuale, e quindi ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, le strutture sanitarie rispondono a titolo di responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze che ne derivano i termini di onere probatorio e di prescrizione che è quinquennale per la responsabilità extracontrattuale e decennale per la responsabilità contrattuale.

    I pazienti che sono rimasti vittima di errori da parte dei sanitari che li hanno avuti in cura, quindi, possono rivolgersi al giudice per poter ottenere il risarcimento del pregiudizio subito, ovviamente dopo aver valutato con dei professionisti l'effettivo rapporto di causalità tra il danno e un operato non corretto del sanitario.

    La procedura giudiziale, tuttavia, a seguito della riforma del 2017 è sempre subordinata al preventivo espletamento di un accertamento tecnico preventivo (696 bis c.p.c.) che è una procedura che affida a un C.T.U. nominato dal tribunale competente il compito di accertare in via preliminare l'an e il quantum della responsabilità medica con una perizia che diverrà poi un sostegno valido per trovare un accordo o per decidere se intraprendere o meno il giudizio vero e proprio.

    In alternativa alla consulenza tecnica preventiva, le parti possono ricorrere al procedimento di mediazione, da condurre con l'assistenza obbligatoria di un avvocato e volto a tentare di raggiungere un accordo per la definizione stragiudiziale della controversia. La mediazione va chiesta rivolgendosi ad un organismo di riferimento del territorio in cui ha la sede il tribunale competente per il giudizio.

    Solo per la consulenza tecnica preventiva è previsto esplicitamente il litisconsorzio necessario delle imprese di assicurazione. Tuttavia, alla mediazione si applica comunque l'articolo 8, comma 4 bis, del D.Lgs. n. 28/2010, in base al quale il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio dalla mancata partecipazione al procedimento non sorretta da un giustificato motivo e può condannare la parte costituita che non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo a versare allo Stato una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio (oltre che, secondo la prevalente giurisprudenza, al risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 96 c.p.c.).

    In ogni caso, al paziente viene data la possibilità di agire direttamente nei confronti dell'impresa di assicurazione che presta copertura alla struttura sanitaria o sociosanitaria interessata o al sanitario, nei limiti delle somme per le quali opera il contratto ed entro i medesimi termini di prescrizione previsti per l'azione nei confronti della struttura o dell'esercente la professione sanitaria. Per agevolare l'azione diretta, la legge Gelli ha previsto l'obbligo per le strutture sanitarie di pubblicare nel proprio sito web la denominazione dell'impresa che assicura sé e i prestatori dei quali si avvale.

    La particolare rilevanza della tematica della responsabilità medica si riflette anche sull'obbligo, introdotto con la legge Gelli, per tutte le strutture sociosanitarie pubbliche e private e per i professionisti che entrano in rapporto diretto con i pazienti di stipulare una polizza assicurativa che copra i rischi derivanti dalla responsabilità medica.
    Se tale polizza manca, i pazienti possono ricorrere a un apposito Fondo (il Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria) che garantisce i danni loro derivati da responsabilità medica, alimentato con il versamento di un contributo annuale da parte delle imprese di assicurazione. Il Fondo opera anche nel caso in cui i massimali assicurativi sono inferiori rispetto al risarcimento dovuto ai pazienti o nel caso in cui l'impresa presso la quale la struttura sanitaria o il medico sono assicurati si trova in stato di insolvenza o di liquidazione coatta amministrativa.
    L'obbligo di assicurazione si riflette anche nella possibilità per i pazienti di citare in giudizio per il risarcimento del danno subito direttamente anche la compagnia (oltre al medico o alla struttura sanitaria), al pari di quanto avviene nel settore della R.C. auto.
    L'importanza della copertura assicurativa nel mondo sanitario è stata ancor più di recente ribadita dalla riforma Lorenzin di fine 2017, che ha affidato nuovi compiti al Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria, conferendogli l'ulteriore funzione di agevolare l'accesso alla copertura assicurativa da parte di coloro che svolgono una professione sanitaria in regime libero-professionale.

    Responsabilità penale del medico
    La responsabilità medica, peraltro, non limita i suoi risvolti a quelli di carattere civile, ma può comportare conseguenze anche sul piano penale.
    Infatti l'articolo 590-sexies c.p., così come riformato dalla legge Gelli, prevede una particolare responsabilità penale dei medici per omicidio colposo o lesioni cagionati nell'esercizio della professione sanitaria.
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    Mi dispiace molto per la tua condizione. Aver firmato una liberatoria non esonera da responsabilità.
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    L'utente viene bannato per violazione del regolamento (scritte ripetute in tag contrarie allo stesso) nonostante i numerosi inviti al rispetto delle regole.
2290 replies since 3/1/2009
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